Intervista a Debora

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Debora – maggio 2009

Siamo abituati ad osservare una nuova generazione che sta crescendo con il mito delle veline, dei mille grandi fratelli e del facile successo ad ogni costo, con padri che hanno contribuito a costruire un modello  economico in cui l’immediato profitto prescindeva ogni altro valore. Per questo è una sorpresa trovare una persona che racconti di avere trovato il paradiso nel proprio lavoro, una sorpresa scoprire che non guadagni milioni di euro, che non compare in televisione e che non ha ottenuto alcuna celebrità.

Debora è riuscita però a inseguire il suo sogno e infine a raggiungerlo.

Aveva 11 anni quando, con la nascita del fratellino, scoprì la sua passione per accudire i bambini piccoli e rivelò a sua mamma il desiderio di diventare puericultrice.

Con la mamma valutò poi che sarebbe stato più sicuro fare la scuola per infermiere. Debora, come previsto allora, fece i due anni di scuole magistrali ottenendo l’attestato di maestra d’asilo e i tre anni di vigilatrice d’infanzia. Nel 1989 dopo aver ottenuto il diploma alla Macedonia Mellone  si ritrovò così ad indossare il suo primo camice nelle corsie al secondo piano della Clinica De Marchi.

Pochi anni dopo aver sognato di diventare puericultrice si ritrovava ora ad essere una infermiera e ad accudire bambini con malattie in prevalenza di renali e polmonari.

Debora era cresciuta e con essa il suo sogno. In DeMarchi rimase per sette anni, poi dopo la maternità ottenne un nuovo incarico in Mangiagalli, dove per quattro anni si prese cura dei neonati.

Poi inattesa arrivò la svolta che la portò nel Day Hospital della De Marchi, il Paradiso, così come gli infermieri chiamano gli incarichi in Day Hospital. Le dissero che viene chiamato Paradiso perché nei Day Hospital non si fanno turni ma il vero significato di quella definizione Debora lo ha scoperto pian piano, giorno dopo giorno, anno dopo anno e ancora tanto probabilmente ha da scoprire.

Nel Day Hospital entrò in contatto con nuovi pazienti, pazienti che quel Day Hospital e quell’Ospedale spesso lo vivono d quando sono nati, sono i bambini  ei ragazzi malati di Thalassemia. “Con questi pazienti mi accorgo che hi sviluppato anno dopo anno un rapporto veramente speciale, ch forse va anche di la del rapporto professionale, sono ragazzi che ho visto crescere, con i quali siamo cresciuti insieme e insieme abbiamo imparato a conoscerci e rispettarci, a tutti questi pazienti sono molto affezionata, questo comporta grandi gioie ma di certo anche momenti di grande dolore, ogni volta che uno di loro viene a mancare è come se con lui perdessi un pezzo di cuore.”

Le cose però non andarono subito bene, i primi tempi in Day Hospital furono molto difficili per Debora. Il rapporto con i pazienti sembrava molto più difficile, in alcuni casi impossibili. I pazienti arrivavano a rifiutarla creando un muro e rifiutandosi di farsi inserire l’ago da lei. “ Per me fu uno shock. Non capivo cosa stavo sbagliando, poi pian piano imparai a comprendere i miei nuovi pazienti, anzi a capire che ero io quella nuova e che per l’oro quel Day Hospital significa una vera e propria seconda famiglia. Una famiglia nella quale vogliono trovare prima di ogni altra cosa una grande umanità, un rapporto personale con chi li sta curando. Il paziente cronico, a differenza dei pazienti a cui ero abituata, cerca di instaurare un rapporto molto più personale, vuole sentire di aver creato un legame sentimentale. Ma prima di riuscire a conquistare la loro fiducia è necessario compiere una sorta di percorso di iniziazione che per me si è concluso in una gita compiuta insieme a loro”. Periodicamente la Fondazione De Marchi organizza gite e vacanze per i pazienti della Clinica e a queste gite partecipano volontariamente come accompagnatori per garantire il necessario supporto medici e infermieri. Queste gite si sono rivelate importanti momenti per creare forti rapporti fra pazienti e anche fra pazienti e dottori e infermieri. Durante le vacanze è più facile far cadere le barriere, condividere una settimana in spiaggia e serate in discoteca aiuta molto a creare rapporti più personali.

“ Con i pazienti più piccoli è certo più difficile creare rapporti così personali  ma spesso sono le loro mamme a rivolgersi a noi per cercare un aiuto e una guida nei loro rapporti con i loro bimbi.”

Mese dopo mese Debora imparò quindi  che quel Day Hospital stava diventando per lei qualche cosa di ben diverso dalla professione di puericultrice che aveva sognato da ragazzina e sicuramente qualcosa di più importante di un semplice lavoro. Con quei ragazzi era difficile essere solo degli infermieri e piano piano si scoprì amica e fu normale scambiarsi i numeri di cellulare in caso di bisogno, come fu normale pian piano arrivare a scambiarsi sms come fra amici, degli amici che si frequentano e conoscono ormai da otto anni.

“ Ora che il mio percorso di iniziazione è finito quei ragazzi mi fanno sentire parte della loro grande famiglia  e allora è normale che quando uno ha bisogno tutta la famiglia corra in aiuto come è successo poco tempo fa. Una domenica una nostra paziente è stata ricoverata per una urgenza in un ospedale fuori Milano, tutti i pazienti si sono subito allertati con uno scambio di sms e in quella catena di sms ci siamo ritrovati anche in due medici e in due infermieri, tutti pronti a lasciare pe runa domenica la famiglia per correre a trovare e la nostra paziente ricoverata insieme con tutta la nostra grande famiglia del Day Hospital.”

Debora mi racconta che ora sempre meno ragazzi sembrano voler fare la professione di infermiere, forse perché gli studi sono più lunghi e difficili o forse perché nessuno ha detto loro che il Paradiso si può trovare anche dentro il Day Hospital di una Clinica pubblica nel centro di Milano.

Francesco Iandola

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