Intervista a Gisella

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Gisella – ottobre 2008

Gisella oggi ha 20 anni, è sposata, ha due figli meravigliosi e svolge servizio civile presso l’unione italiana ciechi. Ma, soprattutto, Gisella fra pochi giorni farà a Milano l’ultima visita di controllo e con essa arriverà finalmente la conferma di essere guarita. Ma se oggi la troviamo, nella sua Caltagirone, così giovane e già così adulta, dobbiamo forse fare un salto indietro di cinque anni, nel gennaio 2003, quando a 15 anni iniziò l’esperienza che più l’ha segnata.

Si svegliò una mattina con un fastidio alla gola, sembrava una piccola cosa, al più un fastidioso calo della voce, ma dopo un mese e innumerevoli esami presso le strutture sanitarie di Caltagirone non si era ancora riusciti a capire la causa di quei fastidi.

Il pensiero dei genitori di Gisella si andò allora a posare sulle grandi strutture sanitarie del Nord Italia viste dalla lontana Sicilia come un modello di grande efficienza e modernità. In più a Milano Gisella aveva gli zii. Partì quindi da Caltagirone con la mamma. Gisella ricorda che rimase a Milano 6 mesi, dall’inizio di febbraio alla fine di giugno, e fu presso la Clinica De Marchi che il dottor Portaleone le diagnosticò un linfoma di Hodking, una forma tumorale che doveva essere curata con chemioterapia e radioterapia.

Quel giorno Gisella, allora quindicenne, capì che avrebbe dovuto diventare improvvisamente adulta. Lontana da Caltagirone trovò nella Clinica De Marchi una nuova casa e al suo interno una nuova famiglia fatta di medici, infermieri e giovani pazienti.

I primi giorni, quando le fu spiegata la sua malattia, Gisella ebbe paura, paura che, grazie alla grande professionalità dei medici e delle loro spiegazioni, presto lasciò il posto alla voglia di reagire. Se la Clinica doveva essere la sua nuova casa, Gisella ritenne normale darsi da fare anche lei, come le avevano insegnato i suoi genitori e iniziò perciò ad aiutare come e dove poteva, rifaceva ad esempio i letti e poi, sentendosi la più grande fra i pazienti colà ricoverati, assunse il ruolo di sorella maggiore. Per Gisella era una grande sofferenza vedere quei piccoli bambini tanto soffrire per le loro malattie e si prodigava come poteva per aiutarli. In quei mesi, fra le corsie dell’ospedale, trovò anche il tempo di conoscere un ragazzo col quale nacque una tenera amicizia.

Erano però giorni difficili, doveva affrontare quotidianamente i problemi della sua malattia, ma forse la cosa ancor più difficile era confrontarsi con gli altri. Perse i capelli e ricorda che la difficoltà non era data tanto da un fattore estetico, quanto dalla paura di mettere in imbarazzo le persone che incontrava; lei, malata, aveva timore di creare difficoltà negli altri. Un imbarazzo che sentiva specialmente quando tornava a casa dove vedeva negli occhi degli altri la difficoltà di relazionarsi con lei quando invece lei si sentiva tutto tranne che malata. Furono però anche i giorni in cui si accorse che poteva contare su un grande appoggio da parte dei suoi giovani amici di Caltagirone. Ma fortunatamente i mesi passarono e con essi pian piano arrivò la guarigione. A giugno giunse l’ora di tornare a casa, le cure proseguirono ancora per qualche tempo presso il Policlinico di Catania con il professor Schilirò, fino a quando non si limitarono a un controllo ogni sei mesi. E all’ultimo controllo mancano solo pochi giorni.

Poi della malattia a Gisella rimarrà solo il ricordo di un’esperienza che, come dice lei, ha avuto anche il risvolto positivo di insegnarle a distinguere i veri valori della vita e a dare minor importanza alle tante piccole difficoltà che si incontrano quotidianamente. Ma soprattutto, dopo quell’ultimo controllo, Gisella potrà finalmente aprire una nuova e più serena pagina insieme alla sua famiglia e ai suoi bambini.

Francesco Iandola