Enrico IV, anche i Re per la Fondazione De Marchi

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Due serate di teatro per la Fondazione De Marchi.Enrico IV foto

Il 28 ottobre e il 22 dicembre 2014, al Teatro Carcano di Milano,  alle ore 21 andrà in scena l’“Enrico IV” di Luigi Pirandello.

L’opera con la regia di Enzo Rapisarda è portata in scena dalla Nuova Compagnia Teatrale.

Le serate sono organizzate da COMEDIANS e una quota dell’incasso sarà devoluta alla Fondazione De Marchi ONLUS, il costo della poltrona è di 40€ e si può prenotare direttamente per telefono al numero: 02.83.66.04.29

La trama

La tragedia ha un antefatto che risale a molti anni prima della vicenda che si svolge sulla scena. Un gruppo di amici organizza, in occasione del carnevale, una cavalcata in maschera durante la quale il protagonista, che aveva scelto per sé il costume di Enrico IV di Germania, cade battendo la testa. L’incidente gli provoca la perdita di coscienza, ed al risveglio, egli crede di essere realmente il sovrano del quale aveva indossato l’abito. Da quel momento egli vive tra le mura di una finta corte, assecondato nella sua follia da tre consiglieri. L’azione inizia quando il nipote, marchese Carlo Di Nolli, con l’assistenza di un medico interessato al caso, decide di tentare uno stratagemma per sottrarre lo zio alla sua disgraziata condizione. Così inscena un incontro con Matilde Spina, la donna amata in gioventù dal protagonista. Vi partecipano anche Tito Belcredi, amante di Matilde Spina e antico rivale dell’Innominato e la giovane figliola di lei, Frida, ritratto della madre al tempo della cavalcata. Si spera così, che la somiglianza richiami alla mente del folle il tempo che aveva preceduto lo sfortunato incidente. In realtà, il protagonista non è più pazzo: da anni simula il suo doloroso stato perché non vuole ritornare ad una realtà che lo disgusta. Svelato l’inganno, egli ammette di essere rinsavito, ma l’impudenza di Matilde e di Belcredi riaccende in lui antichi rancori. “Enrico IV” andò in scena per la prima volta al Teatro Manzoni di Milano il 24 febbraio 1922. Dopo il fiasco del 1921 dei “Sei personaggi in cerca d’autore”, in cui il pubblico aveva gridato “manicomio”, Pirandello sembra voler mettere in scena un vero manicomio in costume. Dal caos strutturale dei “Sei personaggi…” definiti da Pirandello “commedia da fare” si passa all’ordine perfetto di “Enrico IV” indicato nel sottotitolo “tragedia in tre atti”, tragedia nella forma più classica dell’antico teatro in cui vengono rispettate le tre famose unità aristoteliche.

Sullo sfondo sta il celebre episodio che vede l’Imperatore Enrico IV di Germania recarsi a Canossa dove chiede alla Marchesa Matilde l’intercessione presso Gregorio VII, il papa che l’ha scomunicato. E la notte del 25 gennaio 1077 (Pirandello nel copione indica il 1071) l’Imperatore vestito da penitente aspetta insieme alla moglie Berta di Susa, fuori dal Castello il perdono del papa. Il protagonista, il Senzanome della tragedia pirandelliana, a causa del dramma subito, si fissa nel personaggio di Enrico IV e si circonda di cortigiani in abito medievale al riparo di una villa umbra. E anche quando si risveglia dalla follia, resta murato nella sua parte, beffandosi degli ignari  che continuano a recitare. Quando il gruppo dei “salvatori” irrompe nella villa, egli ha già trovato la salvezza a modo suo. Anche lui aveva creduto alle gioie della vita reale, ma da quando ne ha toccato la profondità, gli è sembrata solo una mascherata inutile e stupida. Perciò ha voluto rimanere nell’immaginario e non ne vuole uscire, impaurito “del suo sangue che pulsa nelle arterie come, nel silenzio della notte,un tonfo cupo di passi in stanze lontane”.

 

Il Senzanome è un personaggio che vive in una dimensione di rinuncia, di autorepressione, di rifiuto della vita. Si fissa in un’immagine di sovrano umiliato, imperatore scomunicato emarginato. La fissazione si determina al 25 gennaio 1077, la data di Canossa, in un momento quindi di estremo scacco, di rifiuto. Il finale sottolinea la scelta del protagonista di ritirarsi in quella sorta di “ventre materno” che è la villa che lo proteggerà per sempre. Nella tradizione scenica consolidata tuttavia, “Enrico IV” è stato spesso avvertito come un eroe positivo che scegli l’autoemarginazione come risposta polemica ad una realtà soffocante, negativa, ipocrita e falsa, cercando di accentuare la negatività del “coro” che si oppone all’Innominato favorendo così una maggiore simpatia del protagonista. Indubbiamente nel testo si avverte un giudizio da parte di Pirandello di lucida e pungente negatività riferita al “coro”, costituito da una società aristocratica fatta di baroni, marchese, marchesini, assolutamente fatua, incolta, oziosa e prepotente.

L’allestimento registico prevede un prologo ideato da Enzo Rapisarda in cui nella scena quasi orgiastica iniziale alla fine della cavalcata in maschera, si ritrova il riferimento simbolico ad una società priva di valori, inconsistente e superficiale. In tale scena irrompe ad un certo punto il Senzanome, già fissato dalla pazzia nel ruolo di Enrico IV, che fa piazza pulita di tutti i partecipanti alla festa per rimanere solo nel suo rifugio. Si è cercato quindi, pur nell’assoluta fedeltà al testo, di evidenziare il rifiuto del Senzanome di tutto ciò che è ipocrita e falso (il “coro” degli altri personaggi) alla ricerca di una vita che è sì una finzione, una commedia, ma che forse è più vera di quella vissuta dalla società che ci ruota intorno. Accanto a questa visione del Senzanome, emerge anche la vigliaccheria di una scelta che pur motivata da una profonda analisi del contesto sociale, sfocia in una direzione di rinuncia alla vita.

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